Delicata convivenza
Che piaccia o no, i vicini esistono e quasi sempre creano problemi. O no? Un’analisi.
Le mie vicine di casa mi hanno salvato la vita. Non mi hanno salvata da un attacco cardiaco, con un defibrillatore a portata di mano, ma mi hanno comunque dato una mano in una situazione molto difficile: quando il mio partner, da un giorno all’altro, mi ha piantata in asso, lasciandomi completamente sola con due bambini piccoli. Se non ci fossero state Sophie e Steffi, disposte ad ascoltarmi quando avevo il cuore spezzato e ad accogliermi nella loro casa, probabilmente ancora oggi starei piangendo nel mio bell’appartamento nell’edificio d’epoca del Kreis 6 a Zurigo, delusa, frustrata, disincantata.
«Prosecco time!»: il breve massaggio mi raggiungeva quasi sempre verso le 20, per invitarmi a bere l’aperitivo nell’accogliente attico al piano di sopra, dove le due sorelle abitavano insieme. «Ehi, cara, noi ti facciamo tornare la voglia di ridere. Vieni su!» Era anche facilissimo: non appena i bambini erano a letto e non si sentiva più una mosca volare, accendevo il baby phone e me ne andavo su di soppiatto. Nella difficile situazione che stavo attraversando, niente mi era più gradito di queste piacevoli ore a chiacchierare, che alla sera mi distoglievano dai miei problemi di single. Tra tutti gli inquilini, noi tre eravamo sempre andate d’accordo. Ma i miei problemi sentimentali ci hanno rese ancora più unite, dimostrando che spesso la salvezza è molto vicina: una porta, un corridoio, un isolato più avanti o, come nel mio caso, al piano di sopra.
Ignoranza, discrezione o disinteresse?
Ognuno di noi, sia che si viva in affitto sia in un appartamento di proprietà, ha già sperimentato che non basta abitare nello stesso edificio per sentirsi personalmente legati. Basta volerlo, e si può benissimo ignorare chi vive e abita vicino. La signora sola dell’appartamento a due locali? Passa le giornate a guardare la TV e a fumare e certo non avrà niente di interessante da raccontare. L’elegante manager con la lussuosa vettura, sempre occupato a fare telefonate importanti in macchina col vivavoce? Sembra sempre essere di fretta, e comunque parla solo inglese. La tipa snella che alla sera sta ancora facendo i suoi giri di jogging nel quartiere? Non c’è neanche bisogno di salutarla, indossa sempre gli auricolari e non sentirebbe comunque. Esistono mille e più possibilità per ignorare volutamente i vicini o fingere elegantemente di non vederli. Basta chiudere la porta dietro di sé per essere in pace.
Sembra che ci siano zone residenziali in cui le persone evitano le scale e preferiscono dileguarsi nell’ascensore vuoto per raggiungere un altro piano, possibilmente senza essere viste. E pare che ci siano zone residenziali in cui gli inquilini abitano per anni o decenni porta a porta senza aver scambiato un’unica volta qualche parola, a parte il saluto di circostanza. A quanto pare, alcuni vicini si incontrano esclusivamente nell'autorimessa e in cantina. Quindi, chi crede che negli edifici con molti appartamenti e dozzine di piani ci sia automaticamente un vivace scambio tra vicini, più che in un quartiere di ville e abitazioni unifamiliari, si sbaglia. Abitare in una zona ad alta densità, con molti appartamenti, non significa di per sé avere rapporti più frequenti con il vicinato. A meno che per rapporti non si intenda essere ai ferri corti. Pare che esistano condomini in cui gli inquilini durante le innumerevoli riunioni litigano per i frassini del parco giochi, perché secondo alcuni sono utili per fare ombra mentre secondo altri nascondono la vista del lago.
I pettegolezzi fanno parte del vicinato
È noto che basta un piccolo negozio di generi alimentari, un bar, un’edicola, un asilo nido o un parrucchiere a favorire incredibilmente i rapporti di vicinato. Anche i piccoli esercizi commerciali, se frequentati da più persone, hanno il potenziale per trasformarsi in veri e propri punti di incontro. Ci si va per comprare il pane, per farsi tagliare i capelli o bere il caffè. Durante queste commissioni quotidiane, di per sé nulla di speciale, si incontrano le persone del quartiere, si comunica, si conversa e – giacché anche questo fa parte del vicinato – si spettegola. Per gli abitanti dei vivaci centri urbani nelle cosiddette zone miste, questi incontri fanno parte della vita quotidiana. Per chi vive in zone puramente residenziali, come gli innumerevoli agglomerati costruiti negli anni '80 e '90, sono invece al massimo un desiderio. Qui domina la «monocultura» e non c’è scambio.
«Nelle società premoderne, il vicinato era una comunità fondata su necessità economiche, regolata da severe norme sociali.»
Il professor Walter Siebel, sociologo presso l’Università di Oldenburg, studia da decenni i rapporti di vicinato. E giunge alla conclusione che la qualità di questi rapporti sociali è mutata enormemente nel corso della storia. «Nelle società premoderne il vicinato era una comunità fondata su necessità economiche, regolata da severe norme sociali.» Il contadino vicino apparteneva allo stesso ceto e viveva e abitava in condizioni simili. Le persone che vivevano vicine lo erano anche sul piano sociale. Si era soggetti alle stesse necessità e agli stessi obblighi e per affrontare la vita quotidiana si dipendeva gli uni degli altri. «Molti facevano parte per tutta la vita di una sola comunità di paese», spiega il sociologo Siebel. Il vicinato era un destino.
Oggi il vicinato ha perduto questa base oggettiva. Non si è più economicamente legati ai propri vicini e non necessariamente si condividono gli stessi valori e lo stesso stile di vita. Solo in casi eccezionali abitare vicini significa ancora lavorare in luoghi vicini. Con l’urbanizzazione industriale, il lavoro è stato dissociato dal contesto abitativo.
Serve del pragmatismo
Non è così facile capire da cosa dipende se i vicini non entrano in sintonia. Non deve essere per forza disinteresse; si può trattare anche di riserbo, la tipica discrezione svizzera che ci fa mantenere le distanze. «Vivi e lascia vivere»: non ha la sua ragion d’essere anche questa strategia, se non addirittura dei vantaggi enormi? Tutti noi conosciamo le tipiche storie di vicini che nel corso degli anni sono diventati migliori amici, che si invitavano a vicenda a indimenticabili grigliate e alle feste di Capodanno, e che poi per il problema del parcheggio hanno finito per litigare ferocemente e non si degnano più di uno sguardo.
Per questa ragione conviene non aspettarsi troppo dai rapporti di vicinato, ma cercare piuttosto una convivenza pragmatica. Questo potrebbe voler dire, per esempio, che non si deve esitare a suonare dalla vicina se mancano le uova per la torta; ma anche che si resta del tutto rilassati se il corridoio esterno si riempie di scarpe da ginnastica, bastoni da hockey e skateboard, e anzi ci si rallegra perché significa che qui c’è vita!
«È noto che basta un piccolo negozio di generi alimentari, un bar, un’edicola, un asilo nido, un parrucchiere,a favorire incredibilmente i rapporti di vicinato.»
Gli inconvenienti della tolleranza
Proprio così, siamo arrivati al tema della tolleranza: è da questa, e non dal regolamento condominiale cartaceo – che comunque praticamente nessuno conosce – che dipende la buona convivenza condominiale. L’inconveniente della tolleranza è però che ognuno ne ha un’idea diversa: per esempio a me danno molto più fastidio le feci del cane in giardino del rumore del ping-pong causato dai bambini che giocano ogni sera nell’abitato. Infatti, non ho particolare simpatia per i cani, ma adoro i bambini che si divertono fuori. Invece, per la signora X o il signor Y magari è il contrario.
Ma restiamo positivi. Svuotare la cassetta della posta o innaffiare le piante al vicino in vacanza è e resta il modo ideale per cominciare a entrare in confidenza. Così, quando si prendono in consegna le chiavi, ci si può fare in modo del tutto naturale un’idea dell’altra persona che abita nel nostro caseggiato, e magari si è indotti a riesaminare più di un pregiudizio: chi si sarebbe immaginato che Meier in salotto avesse un divano dal design così elegante? E lo scaffale così pieno di libri nella stanza da letto dei Müller, è lì solo per far colpo o la moglie legge veramente così tanto? Domande su domande!
«Costruire non è semplicementeedificare caseggiati, costruire significa creare incontri. Costruire vuol dire dar vita a un’atmosfera.»
Eppure adesso anche questa possibilità semplice e veloce di conoscere i vicini, per così dire indirettamente, attraverso il loro arredamento e durante la loro assenza, rischia di venir meno: per colpa di prestatori di servizi specializzati che, a un prezzo piuttosto sostenuto, non solo badano alla casa, ma su richiesta svolgono anche numerose prestazioni personalizzate. Là dove sono dei professionisti a innaffiare i ficus, svuotare la cassetta delle lettere, dar da mangiare ai gatti durante le ferie, occuparsi dei bambini e della spesa, restano ben poche opzioni per vivere il vicinato nel senso classico. Ci sarebbero ancora le associazioni di vicinato o di quartiere attive in alcune città e quartieri, che fanno un lavoro lodevole, gratuitamente, per puro idealismo, per favorire la convivenza e contrastare il crescente anonimato delle zone residenziali: si organizzano banchetti a base di maialino da latte, lotterie serali, partite di jass e piccole gite. Anche le feste di quartiere sono un metodo molto popolare per intensificare i rapporti di vicinato. Mentre si organizzano insieme, ci si conosce; quando poi arriva il momento di festeggiare, magari ci si trova addirittura simpatici. Soprattutto con lo stabilirsi dei numerosi stranieri ed espatriati le associazioni di quartiere hanno dato qua e là un nuovo impulso. Alcuni studi dimostrano che molti nuovi arrivati cercano quasi disperatamente il contatto sociale.
Il contributo di progettisti e investitori
Anche architetti, progettisti e investitori contribuiscono a forgiare un vicinato. Sono loro che decidono come costruire su un terreno, a quale uso adibirlo, come avvengono le reciproche relazioni tra edifici e i collegamenti. Si è pronti e disposti a mettere a disposizione delle persone spazi esterni veramente attraenti, che invogliano all’incontro, oppure ci si limita a creare uno spazio verde proforma, senza stimoli, che soddisfa gli standard minimi previsti dalla legge, ma nulla di più? Esistono soltanto il «privato» e il «pubblico» o magari anche spazi di transizione, zone in cui il dentro e il fuori si fondono? Ci si limita a costruire in base ai coefficienti di utilizzazione oppure si riflette consapevolmente su come funziona la convivenza tra le persone, come incoraggiare l’interazione tra vicini, come ottenere una eterogeneità positiva? Costruire non è semplicemente edificare caseggiati, costruire significa creare incontri. Costruire vuol dire dar vita a un’atmosfera.
«Chi crede che negli edifici con molti appartamenti e dozzine di piani ci sia automaticamente un vivace scambio tra vicini,più che in un quartiere di ville e abitazioni unifamiliari,si sbaglia.»
Ma torniamo al famoso Prosecco serale nel bell’edificio d’epoca al Kreis 6. Una sera, prima di salire da Steffi e Sophie, commisi un errore fatale. Lasciai nella camera dei bambini il ricevente anziché il trasmettitore. Di conseguenza, non furono gli eventuali pianti dei bambini a essere intercettati dal piano di sotto e trasmessi alla nostra cerchia femminile, ma furono invece il chiacchiericcio – e col passare del tempo le risate – della nostra cerchia femminile a essere trasmessi giù nella stanza dei bambini. La piccola Charlotte, spaventata da tanto baccano, si mise a piangere disperatamente nel suo lettino a sponde. Jakob, il fratellino, non meno confuso, salì a tentoni le scale, in pigiama, tra i singhiozzi, chiamando disperatamente la mamma. Quanta agitazione in quella casa, a un’ora così tarda! E tutto perché avevo delle vicine così meravigliose che mi erano vicine nei momenti difficili.