Il lavoro? Un’avventura tutta da vivere
Il co-working è molto più di un approccio dinamico all’utilizzo delle postazioni di lavoro: è il simbolo di una nuova cultura organizzativa, proiettata verso il futuro. Un’evoluzione che implica sfide inedite anche per il settore immobiliare.
Nell’immaginario collettivo l’impiegato è una persona integerrima che al mattino esce di casa sempre alla stessa ora, raggiunge l’azienda, si siede alla scrivania nel proprio ufficio per svolgere il lavoro, finita la pausa pranzo si rimette al terminale e la sera puntualmente torna a casa. Un tran tran sempre uguale a se stesso, che si ripete ogni giorno, un anno dopo l’altro. Stessi luoghi, stesse facce. Ma questo modello di lavoro esiste ancora? O forse ha già esalato gli ultimi respiri, soppiantato dalla nuova figura del lavoratore di domani – libero e flessibile, abituato a ragionare per progetti e a interagire in rete, in due parole un nomade imprevedibile che oggi è qui e domani là, oggi lavora con te e domani con qualcun altro?
Una cosa è certa: fenomeni come la digitalizzazione, la globalizzazione, la sharing economy e il progresso tecnologico stanno cambiando radicalmente le strutture aziendali e le condizioni di assunzione, stravolgendo schemi invalsi da decenni e creando universi lavorativi del tutto nuovi. Anche il settore immobiliare è interessato da questa rivoluzione. Basta pronunciare le parole new work e spazio di co-working e magicamente si entra in un mondo fatto di uffici condivisi con postazioni di lavoro aperte all’interazione, affittabili da singoli o aziende in base a forfait giornalieri, settimanali o mensili. L’obiettivo? Usufruire di infrastrutture comuni e approfittare del reciproco know-how.
Indipendenti, ma integrati in rete
Il co-working nasce – e come poteva essere altrimenti? – nella Silicon Valley alla fine degli anni 1990. Il modello prevede che persone appartenenti a discipline e settori diversi lavorino nello stesso luogo o edificio, seppur in modo indipendente le une dalle altre. Una modalità operativa che, in caso di necessità, permette sempre di scambiarsi opinioni e consigli. L’offerta di uno spazio di co-working, quindi, non comprende soltanto un’infrastruttura informatica di base e postazioni di lavoro composte da sedia e scrivania, ma anche una rete di persone da cui ciascun partecipante può trarre beneficio, come fonte di ispirazione o di utile know-how, e che nella migliore delle ipotesi dà vita a collaborazioni su nuovi progetti. Il co-working rappresenta inoltre un possibile strumento per promuovere l’insediamento di imprese sul territorio, poiché crea un ambiente in cui si può svolgere un’attività imprenditoriale in modo semplice, immediato e professionale, con la garanzia di avere a disposizione servizi indispensabili quali posta e telefono, reception, caffetteria, sale riunioni e, nel caso, persino assistenza legale e notarile.
Una cosa balza subito agli occhi: molti spazi di co-working portano nomi che non evocano per nulla dure giornate di lavoro o progetti rompicapo, bensì un clima di leggerezza e divertimento. Pensiamo ad esempio a Kulturhafen (letteralmente «porto della cultura»), Gründerküche (luogo in cui si «cucinano» nuovi imprenditori), Raumstation («stazione spaziale») o Brutkasten («incubatrice»), nome, quest’ultimo, che dichiara esplicitamente gli intenti di crescita insiti nell’iniziativa. In altri casi, invece, si vuole suggerire un approccio cool e cosmopolita: House of Clouds, Mindspace, WeWork, Impact Hub, United Urbanites, Business Village, Work Inn, Talent Garden, Office Club, Fab Lab.
Vento in poppa per i settori in crescita
Parlando di lab... anche Alfred Müller AG si mette in luce come impresa immobiliare leader in questo settore: si è infatti occupata dei lavori di adattamento e allestimento interno dello spazio di co-working B.Labs, nei pressi della stazione di Burgdorf, creando un ambiente ideale per chi si affaccia all’imprenditoria. L’offerta si rivolge primariamente a imprese attive nei settori dell’economia sanitaria e delle scienze della vita, ma è aperta anche ad aziende di altri comparti. Da febbraio 2018, inoltre, alcuni uffici sull’LG-Areal di proprietà di Alfred Müller AG sono affittati ai Crypto Valley Labs, azienda fondata dal gruppo di investitori zughese Lakeside Partners che, nei locali al numero 16 della Dammstrasse a Zugo, ha allestito una sorta di hub per aziende e start-up operanti nel settore della tecnologia blockchain. In brevissimo tempo, tutte le postazioni di lavoro della sede, denominata The Block, erano già assegnate o prenotate. E non stupisce, perché in questo segmento in crescita la domanda di uffici su misura è davvero notevole. Un altro esempio di utilizzo flessibile è quello realizzato nel complesso commerciale Quadrolith, a Baar: qui a beneficiare di questo approccio sono le imprese Biogen e AstraZeneca, entrambe attive a livello internazionale.
Scienze della vita? Blockchain? Biotecnologie? E pensare che il co-working era considerato un attributo tipico dei freelance delle professioni cosiddette creative... In effetti, all’inizio, erano soprattutto i lavoratori indipendenti del settore grafico e della comunicazione a condividere uffici di grandi dimensioni per risparmiare sui costi. Anche fotografi e architetti non hanno esitato a fare propria la filosofia dello «shared space», secondo il motto «non ci importa nulla degli uffici di rappresentanza in ubicazioni di prestigio, preferiamo puntare sul fascino delle vecchie costruzioni industriali, dove, in attesa che arrivino le ruspe, è possibile trovare soluzioni di utilizzo temporaneo». Un concetto, quello di co-working, a cui da sempre si sovrappongono numerosi cliché: dall’immagine dell’alternativo barbuto e occhialuto in scarpe da ginnastica, rilassato e un tantino trasandato, che digita con aria annoiata sui tasti di un Mac e ogni tanto ha in cantiere un «progetto appassionante» (che però di fatto non si concretizza mai), all’idea per cui uno spazio di questo tipo deve essere necessariamente arredato con un divano di recupero e avere come sottofondo costante musica chill-out e ambient.
Così «hip» e «open-minded»
Almeno da quando anche aziende di calibro come Swisscom, La Mobiliare, La Posta Svizzera, SRG SSR, le FFS e la Zürcher Kantonalbank hanno iniziato a puntare su questo modello lavorativo, confidando nel fatto che la scelta di operare all’interno di communities ambiziose e dinamiche possa dare origine a nuovi successi, è ormai chiaro per tutti che l’immagine tradizionale del co-working va rivista e corretta. Ciò che irrita – e non del tutto a torto – i pionieri di questo settore è il fatto che oggi questo «marchio» così promettente viene usurpato anche da centri direzionali a gestione superprofessionale che sperano così di guadagnare qualcosa sul piano del marketing e dell’immagine. Insomma, un modo per far sentire «hip» e «open-minded» anche avvocati e consulenti aziendali senza costringerli ad abbandonare più di tanto la loro comfort zone. Ma bisogna sottolinearlo: non basta che alcuni «cani sciolti» condividano una WLAN performante perché si possa parlare di co-working.
L’opzione del co-working spalanca le porte a un approccio orientato ai risultati piuttosto che alla presenza.
Qui il termine di spedizione – ovvero di viaggio a scopo di esplorazione e scoperta – calza davvero a pennello. Perché se è vero che le due caratteristiche distintive del co-working sono la flessibilità e la scalabilità, è altrettanto vero che questo modello lavorativo moderno incide anche sulla politica e sulla cultura aziendali. «Il co-working permette di collaborare in un’atmosfera del tutto diversa da quella ottenibile all’interno dei confini di un’azienda.» E ancora: «Le aziende che danno ai collaboratori la possibilità di operare in co-working lanciano allo stesso tempo un segnale forte, dichiarando a chiare lettere che la cultura lavorativa e dirigenziale sta cambiando.» Sono alcune delle conclusioni emerse dallo studio condotto a San Gallo. Fino a ieri il fatto che il lavoro non fosse svolto presso la sede dell’azienda era tutt’al più tollerato, ora l’avvento del co-working spalanca le porte a un approccio orientato ai risultati piuttosto che alla presenza.
L’avanzata dei freelance
Se in passato le aziende assolvevano, tra le altre cose, a funzioni di coordinamento e aggregazione, oggi è possibile proporre prodotti e servizi direttamente sul mercato anche individualmente, grazie alla propria rete di contatti, alla presenza in un ambiente virtuale o alla disponibilità di piattaforme di questo tipo. Secondo uno studio della società di revisione Deloitte risalente al 2016, in Svizzera già il 25 per cento degli occupati esercita, a titolo principale o accessorio, l’attività di freelance, ovvero segue lavori supplementari, temporanei o basati su progetti, lavorando di norma in forma indipendente per più committenti, ed è quindi sostanzialmente predestinato ad affittare uno spazio di co-working. Il 45 per cento degli intervistati si dice convinto che la domanda per l’attività che svolge aumenterà; solo l’8 per cento prevede un calo. Insomma, il lavoro, ormai, è un’avventura tutta da vivere.
La postazione in affitto presso uno spazio di co-working può rappresentare un’ottima alternativa anche per chi ha figli piccoli e ha deciso di diminuire il proprio impegno lavorando solo due o tre giorni alla settimana. Il ragionamento fila: se già si può lavorare solo a tempo parziale, allora meglio farlo in compagnia che isolati dal mondo in una stanzetta di casa propria.
Luogo di esperimenti e incontri
Nelle grandi città come Zurigo, Ginevra o Basilea gli spazi di co-working diventano anche hotspot artistici e culturali, dove si svolgono workshop ed eventi. Insomma, zone di incontro e luoghi di sperimentazione dove si coltiva lo scambio e accadono cose esaltanti, inedite, inattese, assolutamente imperdibili.
Ma torniamo all’impiegato modello di cui parlavamo all’inizio: nella sua azienda, alle ore 18 si spengono le luci e un’ora dopo arrivano gli addetti alle pulizie. Negli spazi di co-working si intrecciano contatti anche quando si finisce di lavorare, perché magari ci si ferma per una conferenza o un concerto. Ciò naturalmente accade se il potenziale di questi ambienti viene sfruttato fino in fondo e li si interpreta come un agglomerato dove innovazione e apertura irradiano il proprio influsso anche verso l’esterno. Come dire: addio tran tran, benvenuta avventura.
Come sta cambiando il mondo del lavoro in Svizzera per l’influsso delle tecnologie digitali e della sharing economy? Se lo è chiesto la società Deloitte, che a questa tematica ha dedicato uno studio: «The workplace of the future» (Il luogo di lavoro del futuro). Dall’indagine emerge che il 25 per cento degli svizzeri lavora come freelance, a titolo principale o accessorio. E un terzo del restante 75 per cento dichiara di voler fare lo stesso nel corso del prossimo anno. Il motore alla base di questo fenomeno è la sharing economy, che spinge sempre più persone a offrire servizi tramite piattaforme online. Allo stesso tempo assumono sempre maggiore rilevanza le professioni ad alta intensità di conoscenza e il lavoro mobile. Molte imprese hanno preso atto di questa evoluzione e danno modo ai propri collaboratori di fare capo a luoghi di lavoro differenti. Così all’home office si aggiunge anche lo spazio di co-working.
Qui di seguito, in sintesi, le principali conclusioni a cui è giunto lo studio:
Il luogo di lavoro del futuro
I lavoratori del futuro sono mobili, senza vincoli di luogo
Con l’aumentare della rilevanza del settore dei servizi, delle professioni ad alta intensità di conoscenza e della digitalizzazione, sono sempre più numerose le persone che possono lavorare in mobilità, senza vincoli di luogo. Potenzialmente, in Svizzera, il lavoro mobile potrebbe essere praticato dalla metà degli occupati.
L’avanzata dell’home office
Maggiore è il numero dei lavoratori mobili e autonomi, minore diventa l’importanza del luogo di lavoro fisso. Già oggi il 28 per cento degli svizzeri in età lavorativa svolge le proprie mansioni da casa almeno mezza giornata alla settimana. Del restante 72 per cento, un terzo sarebbe felice di farlo in futuro.
Le imprese svizzere puntano su un modello di lavoro flessibile
Nel 2015, 55 aziende svizzere hanno sottoscritto l’iniziativa Work Smart, impegnandosi a promuovere forme di lavoro flessibili.
Molte di esse danno modo già oggi ai propri collaboratori di lavorare da casa o in spazi di co-working.
I lavoratori del futuro sono autonomi
Essere freelance fa tendenza. Con la sharing economy, sempre più impiegati si trasformano in microimprenditori. In Svizzera il 25 per cento dei cittadini in età lavorativa segue lavori supplementari, temporanei o basati su progetti. E un terzo del restante 75 per cento prevede di farlo nei prossimi dodici mesi.
Il co-working come promettente integrazione dell’home office
Come alternativa all’ufficio convenzionale messo a disposizione dal datore di lavoro oggi si possono valutare, oltre all’home office, anche gli spazi di co-working: uffici in condivisione che offrono postazioni di lavoro in affitto su base oraria. In Svizzera ne esistono già circa 50. Nei prossimi 24 mesi, il 42 per cento di queste strutture intende ampliare la propria offerta. Ed è probabile che agli attuali spazi di co-working andranno ad aggiungersene molti altri.